Resiste alla pandemia il Vietnam e mantiene in salute la sua economia, diventando sempre più attrattivo per le nostre aziende. Presidente dell’ASEAN nel 2020 e membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite per il biennio 2020-2021, il Paese asiatico è uno dei pochi al mondo a registrare un segno più nella crescita di quest’anno, con una crescita stimata nel 2020 del 2,8%. «L’emergenza sanitaria ha di certo influito sugli equilibri geo-politici mondiali, accelerando tendenze già in atto o innestando nuove dinamiche, ma in questo quadro il Paese asiatico emerge come uno dei più dinamici e di maggiore successo», dice Antonio Alessandro, Ambasciatore d’Italia ad Hanoi, in Vietnam. «Hanoi si muove con prudenza ed equilibrio nel nuovo contesto globale, caratterizzato dalla polarizzazione USA-Cina e si promuove come elemento di stabilità nella regione del sud est asiatico e di connettività con l’Europa, con cui ha ulteriormente ampliato i rapporti a seguito dell’entrata in vigore, nell’agosto 2020, di un ambizioso accordo commerciale».
È il nostro primo partner commerciale nel sud est asiatico: ci sono progetti di incentivi per investire nel Paese?
«La Farnesina ha promosso il “Patto per l’Export” al fine di stimolare la ripresa economica italiana nel post-pandemia. Lì i nostri imprenditori interessati al Vietnam trovano orientamento, assistenza e specifici strumenti finanziari del sistema SACE. Vi sono poi gli incentivi del Governo di Hanoi e delle 63 province vietnamite per attrarre investimenti stranieri di qualità: sconti fiscali, concessioni terriere e benefici di varia natura, per i quali ci si può rivolgere alle istituzioni vietnamite».
Che cosa chiederebbe al Governo italiano per incentivare gli investimenti in quel Paese?
«In questo momento è importante mandare avanti la ratifica dell’Accordo europeo di protezione degli investimenti EVIPA (Accordo di protezione degli investimenti UE-Vietnam), firmato nel 2019 insieme a quello di libero scambio ma subordinato, per la sua entrata in vigore, alla ratifica dei 27 Stati Membri dell’Unione Europea. Una volta in vigore l’Accordo sostituirà gli strumenti di protezione degli investimenti bilaterali e fornirà garanzie aggiuntive che faciliteranno il pieno dispiegamento dei rapporti economici e commerciali».
Esistono ostacoli, di genere politico, economico, culturale, per un imprenditore italiano che intenda investire Vietnam?
«Sicuramente la barriera linguistica e culturale è un ostacolo. Noi italiani, però, lo affrontiamo meglio di altri concorrenti europei grazie alla nostra innata flessibilità e capacità di adattamento. Anche il sistema politico è profondamente diverso dalle democrazie liberali di stampo europeo, sebbene questo non rappresenti un ostacolo allo sviluppo dei rapporti economici. Ma ciò che maggiormente può creare problemi ad un imprenditore italiano è la protezione della proprietà intellettuale, che in Asia gode di un riconoscimento diverso rispetto al mondo occidentale».
Cosa suggerirebbe ai nostri imprenditori?
«Senz’altro di avvalersi, nel condurre i propri affari in Vietnam, di servizi di assistenza legale e professionale qualificati. Ve ne sono diversi italiani, con consolidata esperienza nel Paese e in Asia. Anche le istituzioni del Sistema Italia sono a disposizione dei nostri imprenditori: l’ufficio commerciale dell’Ambasciata, il Consolato Generale a Ho Chi Minh City, l’Ufficio ICE, la Camera di Commercio europea Eurocham e italiana ICHAM, l’Ufficio dell’addetto scientifico, Uni-Italia, SACE e SIMEST».
Invece le aziende Vietnamite hanno interesse a investire in Italia?
«Il Vietnam è ormai un Paese a medio reddito ed esprime grandi gruppi come Vin, Sun, FPT o Viettel, tanto per citarne alcuni, che hanno le risorse e capacità per investire all’estero. Ancora non vi sono operazioni significative in Italia, ma si tratta di un’area di attività molto promettente, su cui dobbiamo lavorare di più nel prossimo futuro».
Quali sono i possibili margini di sviluppo, su che cosa puntare?
«L’Ambasciata ha commissionato uno studio per individuare i settori dove meglio si combinano i bisogni della crescita economica vietnamita con le riconosciute eccellenze italiane. Posso anticipare alcuni ambiti in cui i margini di crescita appaiono particolarmente interessanti, quali logistica, infrastrutture, energia, architettura e design, “food processing”, farmaceutica e cosmetica, aerospazio, industrie creative. Occorre puntare sui settori avanzati, dove vi è un elevato valore aggiunto creativo o tecnologico, perché il Vietnam vuole superare l’immagine di piattaforma manifatturiera a basso costo per affermarsi come protagonista della globalizzazione».
Ci sono nostre realtà industriali/produttive che hanno più appeal per il mercato vietnamita e che investono di più sul territorio?
«L’industria manifatturiera italiana, composta da PMI molto flessibili e attente ai valori della sostenibilità e allo sviluppo delle risorse umane, ha rappresentato un importante punto di riferimento per l’industrializzazione vietnamita degli anni ’90 e 2000. I diversi investimenti italiani di quegli anni come Piaggio, Ariston, Bonfiglioli e Givi, tra gli altri, non sono stati “delocalizzazioni”, ma investimenti destinati a servire il mercato locale e dei Paesi limitrofi, che sono tra l’altro sempre più integrati grazie agli accordi regionali di libero scambio, da ultimo il RCEP».
Anche ENI e Fincantieri hanno investito nel Paese.
«Assolutamente. ENI ha scoperto un giacimento di gas al largo di Da Nang, definito “storico” dal Governo vietnamita durante i lavori dell’ultima Commissione Economica Mista del 14 dicembre scorso presieduta dal Sottosegretario Di Stefano. E Fincantieri ha recentemente acquisito una grande commessa per il suo cantiere VARD in Vung Tau. Il Vietnam contemporaneo continua a guardare con grande interesse alla possibilità di nuovi investimenti italiani, soprattutto nei settori ad alta tecnologia e innovazione».
Quali sono le differenze di politiche fiscali rispetto alle nostre?
«Il sistema di governance dell’economia vietnamita, basato sui piani di sviluppo quinquennali approvati dal Partito al potere, consente una notevole prevedibilità della politica industriale, monetaria e fiscale. Le imprese interessate al Vietnam devono studiare con attenzione le decisioni di politica economica che scaturiranno dal prossimo Congresso del Partito Comunista Vietnamita a fine gennaio 2021 e orientare di conseguenza le proprie scelte imprenditoriali. Una comparazione con le misure fiscali vigenti in Italia è difficile data la differenza di sviluppo e di governance».
A livello sociale com’è l’accoglienza di aziende italiane nel mercato vietnamita?
«Ottima. Gli italiani sono amati dalla popolazione vietnamita per la loro storia e per i valori e le qualità che esprimono. Le porte sono sempre aperte per le imprese italiane, alle quali viene riconosciuto un modo di fare business rispettoso delle identità locali e attento ai valori della sostenibilità e alla valorizzazione delle risorse umane vietnamite».
Ci sono molti nostri connazionali che lavorano lì sul territorio?
«Il numero di espatriati delle aziende italiane è in genere limitato alle sole posizioni imprescindibili e non sono poche le aziende dirette in loco da manager vietnamiti, come ad esempio Generali o Datalogic, che quest’anno ha ricevuto un premio da Eurocham per la sua capacità di integrarsi nel territorio. Dobbiamo cogliere le opportunità che derivano da questa nostra immagine positiva e di qualità».
Esiste una stima sui posti lavoro creati dagli italiani?
«Abbiamo oltre cento imprese italiane stabilmente presenti in Vietnam, alcune con impianti produttivi che impiegano centinaia di persone, altre con uffici commerciali o di rappresentanza. Gli investimenti italiani danno lavoro a migliaia di cittadini vietnamiti e contribuiscono in misura significativa alle entrate tributarie e all’export del Vietnam verso il resto del mondo. Si tratta di un apporto importante allo sviluppo e al benessere di questo Paese, per cui riceviamo l’apprezzamento dei vietnamiti. Allo stesso tempo, dai nostri investimenti e dal nostro commercio in Vietnam dipende il fatturato di molte aziende italiane, che guardano a questa parte del mondo con fiducia per il rilancio della domanda globale e per la ripresa del nostro export».